Dopo il successo degli allestimenti dedicati a classici come La locandiera di Goldoni e La bisbetica domata di Shakespeare – produzione LAC per cui Tindaro Granata è stato candidato al Premio Ubu –, l’attore siciliano e il regista Andrea Chiodi tornano a collaborare portando in scena uno dei testi più fortunati di Molière, Il malato immaginario.
Il 1673 è l’anno di composizione dell’opera: un nuovo attacco di Molière contro i medici, che testimonia, ancora una volta, il suo odio viscerale per questa categoria.
“Molière – scrive Giovanni Macchia, tra i francesisti più autorevoli del Novecento – è uno scienziato delle nevrosi”. È un uomo malato, che teme di morire, ma che sa anche che ridere e far ridere è una difesa contro quelli che erano i suoi stessi mali: la gelosia, il dolore, l’ansia, la malinconia. C’è, dunque, dietro commedie che sembrano fatte di comicità persino farsesca, l’ombra di un autoritratto, un gioco – dice Macchia – “tra assenza e presenza”.
È onirico e irriverente Il malato immaginario firmato da Andrea Chiodi, divertente e contemporaneo nel portare in scena le vicende familiari dell’ipocondriaco Argante, circondato da medici inetti e furbi farmacisti, ben felici di alimentare le sue ansie per tornaconto personale.
Come l’avaro Arpagone, Argante è vittima di se stesso e burattino di chi gli sta intorno, prigioniero della sua stessa paura, un’ossessione – l’ipocondria – che in questa nuova versione del capolavoro di Molière diventa piena protagonista.
“La mia esplorazione e curiosità per questo testo – dichiara Chiodi – inizia da questa battuta di Molière: ‘Quando la lasciamo fare, la natura si tira fuori da sola pian piano dal disordine in cui è finita. È la nostra inquietudine, è la nostra impazienza che rovina tutto, e gli uomini muoiono tutti quanti per via dei farmaci e non per via delle malattie’. Una visione che fa un po’ paura, ma che, allo stesso tempo, mi intriga moltissimo.”