Nell’immaginare la prima edizione di Lugano Dance Project abbiamo da subito ritenuto imprescindibile curare la creazione di uno spazio privilegiato per il dialogo e l’approfondimento culturale attorno ai temi portanti del programma artistico e alle questioni più urgenti del presente; abbiamo desiderato un festival che offrisse a persone provenienti da tutto il mondo l’opportunità unica di riunirsi assieme alle comunità locali di artisti, operatori e cittadini per condividere pratiche, aspirazioni e sguardi verso altri mondi possibili. A guidarci è lo stesso spirito e la stessa spregiudicatezza che accompagnarono quasi un secolo fa i pionieri e le pioniere del Monte Verità nel Canton Ticino alla ricerca del rifugio di tutti coloro che avevano nella mente nuovi progetti - come scrisse il dadaista Hugo Ball - nuovi paradigmi di vita improntati su una cura e una cultura del corpo e delle sue esperienze, lontano dai modelli e dai sistemi tradizionali e lontano anche dalla guerra. Ci è sembrato allora naturale inaugurare questa edizione con uno spazio di riflessione (a cui ne seguiranno molti altri nel corso del Festival) dedicato a un argomento che da diverso tempo occupa il cuore di molti tavoli di lavoro a livello internazionale, e che il momento storico carico di incertezza e vulnerabilità ha riportato in primissimo piano: quello del “pubblico”, e più specificamente del “pubblico della danza” in relazione al tema della cura e della curatela.
Da oltre un ventennio le espressioni audience engagement, audience development e audience participation sono entrate nel vocabolario della progettazione culturale come potenti mantra da seguire e ripetere, complici le linee guida dei molti programmi nazionali e internazionali di finanziamento alla cultura, ma anche, e soprattutto, complici le profonde trasformazioni sociali, politiche ed economiche che hanno investito le società in cui viviamo. Il mondo della danza contemporanea, estendendo il suo raggio d’azione a tutti i corpi, e non solo a quelli forgiati dalla tecnica, ha saputo per primo elaborare una serie di riflessioni e pratiche, democratiche e inclusive, al fine di creare nuovi spazi di relazione tra artista e ‘pubblico’ e scalfire ogni forma di pregiudizio e stereotipo. Spazi di ricerca e di formazione reciproca, di cura e di co-creazione, oltre la scatola ottica del teatro, oltre lo ‘spettacolo’, pensati all’interno di una drammaturgia più ampia in cui si collocano orizzontalmente gli sguardi e le posture dell’artista-cittadino e dello spettatore-cittadino. Da un’idea di pubblico, inteso come comunità di spettatori che si riunisce nel luogo normato di una sala teatrale per fruire uno spettacolo si passa allora a un’idea di pubblico inteso come comunità di cittadini in cui è la dimensione esistenziale dell’essere umano a occupare il cuore di ogni discorso e l’unico ‘pubblico’ che può esistere è lo spazio che le persone attraversano nella vita di ogni giorno. Lo spazio dove si incontrano i desideri, i bisogni, gli interessi, ciò che ci muove: il senso di appartenenza a un gruppo, a una visione o a un luogo, così come la ricerca del benessere o dell’esperienza, dello sconfinamento verso l’altro e l’altrove, tre pulsioni, interne e diverse, che trovano nel corpo il comune denominatore.
Alcune realtà nate con questa vocazione già nel proprio DNA, come le Case Europee della Danza (EDN Network) o i numerosi centri di residenza artistica sparsi in tutto il mondo, hanno potuto così espandere spontaneamente una progettualità curata da equipe multidisciplinari e improntata sull’idea che l’arte della danza possa contribuire in maniera cruciale al benessere delle persone, con particolare riguardo ai corpi dei giovanissimi come degli anziani, e a tutti quei corpi socialmente emarginati e oppressi. È questo il caso fortunato di progetti internazionali come Migrant Bodies o del case study italiano Dance well – movement research for Parkinson, una pratica di danza contemporanea che si rivolge principalmente ma non esclusivamente a persone affette dal morbo di Parkinson e che trova spazio in ambienti museali e artistici. In poco tempo la danza, e quindi il corpo, si rivela essere il potente motore di cambiamento capace di trasferire alle persone, attraverso l’incorporazione di pratiche artistiche, informazioni e strumenti fondamentali per affrontare la propria esistenza in termini di risorse personali, relazionali e di soft-skills. Le stesse che consentiranno di migliorare e amplificare anche l’esperienza puramente spettatoriale, a teatro, come in tutti quei luoghi ‘non convenzionali’ (spazi urbani, periferie, musei, scuole) che il gesto dell’artista impara ad abitare e rigenerare.
Con questo primo incontro dal titolo, Auditores, Spectatores, Communitas: la cura delle persone nel mondo della danza, Lugano Dance Project grazie all’importante collaborazione con RESO – Rete della Danza Svizzera, intende gettare un primo seme avendo cura di farlo germogliare e crescere nelle stagioni che si susseguiranno, consapevoli della necessità di individuare sempre più spazi, o meglio, margini altri: dell’errore, dell’utopia, della collaborazione. Quella capacità di fare qualcosa con gli altri, di agire insieme per uno scopo e un bene comune, e che l’emergenza pandemica sembra aver reso l’unico ‘fare’ possibile, invitandoci a ripensare ogni giorno alle nostre strutture e modelli in maniera più empatica, porosa e collaborativa.