Carmelo Rifici è l’autore e il regista di Ci guardano – prontuario di un innocente, lavoro che gli è stato suggerito dalla stesura della dichiarazione di intenti di Lingua Madre, progetto vincitore del Premio Hystrio Digital Stage 2021, di cui riflette la struttura in forma di decalogo.
Evento passato
09 novembre 2021
Sala 4
10 novembre 2021
Sala 4
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Mascherina obbligatoria
(> 12 anni) -
Distanziamento garantito
(posto libero tra prenotazioni) - Tracciabilità garantita
Ci guardano sviluppa il suo percorso drammaturgico in dieci monologhi ‘aperti’ in cui gli allievi della Scuola “Luca Ronconi” del Piccolo Teatro di Milano ‘dialogano’ con la camera a mano. Un lavoro sul teatro e sul linguaggio in cui Rifici rilegge alcuni dei temi da lui affrontati negli anni recenti del suo lavoro registico; il rapporto tra linguaggio verbale e fisico, tra vittima e carnefice, tra parola e gesto. Un viaggio nel tempo, un flusso di coscienza che si sviluppa in un continuo gioco di riflessioni e specchiamenti che lo spettatore è invitato a seguire, grazie ad un sottile filo rosso che rievoca personaggi mitici o realmente esistiti intorno al tema del capro espiatorio.
Il progetto Ci guardano – prontuario di un innocente nasce di getto, in pochi giorni, frutto delle mie ultime riflessioni sul momento storico che sto vivendo, sul teatro e sui temi a me cari, quali il rapporto tra linguaggio verbale e quello fisico, il rapporto tra carnefice e vittima, tra parola e gesto, il teatro come ritualità sostitutiva, il teatro come occhio che osserva, dal greco Thèatron o Thèa, il luogo di chi guarda, la vista, il punto di osservazione.Sembrano temi slegati, in realtà sono fittamente connessi.
La mia riflessione sul linguaggio mi permette di immaginare che l’eterna diatriba tra Logos e Mythos, tra la parola liberatrice che genera senso e la narrazione simbolica della storia, sia di natura patriarcale. La parola, venuta a liberarci dal rito primitivo, sacrificale, porta con sé anche la sua ombra e non solo la sua luce salvifica: spesso la parola (del padre, del Dio, della legge) non fa altro che sostituirsi al rito, creando un nuovo rito, di natura non meno violenta di quello sacrificale. La parola, che arriva per portarci fuori dal caos e dalle tenebre, dall’angoscia primordiale, che ci dà regole e paletti, che trasforma la nostra paura in energia costruttiva, nasconde un suo profondo desiderio di manipolazione, di controllo dell’essere umano. La parola è doppia, se da un lato limita l’uomo e lo struttura, dall’altro lo manipola inevitabilmente. Rende complicato il rapporto tra essere umano e corpo, in quanto il linguaggio identifica l’essere con la sua mente o con la sua anima. Il linguaggio è diabolico, se da una parte crea “significato” e ci permette di esistere e di apprendere, dall’altro ci chiede un sacrificio tremendo, dimenticare di avere un corpo, eliminarlo a furia di sacrifici e di linciaggi. Questo processo è evidente nel capro espiatorio, che di solito è donna, bambino, o corpo non normativo, o solo straniero. Il sacrificio di quel corpo naturale, fragile, ancora privo del doppio, del significato doppio della parola, viene immolato, affinché la comunità possa ritrovare un suo ordine, una sua legge. Questo flusso di coscienza a cui ho cercato di dare forma teatrale segue le vicende di questo corpo puro e naturale sempre messo in pericolo di vita. Strutturato in dieci capitoli più un finale, questo delirio partecipa alla “passione” di una “scomparsa”. La scomparsa del corpo. È la storia di alcuni figli che vanno alla ricerca della parola del padre, perché certi che senza quella parola il loro mondo sarà solo dominato dal caos, dalle tenebre. Ma quel che accade è che la parola del padre spesso non arriva al figlio e se arriva è fatale, moltiplica all’infinito la sua azione. È come una bomba atomica che continua a moltiplicare i suoi effetti dopo la detonazione. Il conflitto tra parola e corpo è un conflitto voluto, la speranza che l’essere umano si liberi del suo corpo per diventare puro linguaggio (speranza di genere maschile che si sta realizzando anche attraverso le intelligenze artificiali) è una delle molte narrazioni probabili che abbiamo ascoltato, che il nostro sguardo ha incrociato.
Questo testo è scritto in forma di flusso di coscienza, ma ogni capitolo è comunque legato ad un mito, ad un personaggio, od una persona realmente esistita, che in un modo o nell’altro ho incrociato in questo studio del capro espiatorio.
Il primo capitolo è legato ad una voce, senza un io, ma anche senza un sé, con la consapevolezza di essere “senza” e alla ricerca di una “cosa” di cui non sa niente. Questa voce tornerà alla fine del viaggio nel tentativo di immaginare che questa “cosa” possa essere la “relazione tra le cose”, quindi una cosa senza conflitti, ma anche senza significato, solo relazione. Questa tendenza del cosmo a tessere relazioni, connessioni e disintegrazioni riceve significato solo grazie al nostro sguardo, di per sé esso è puramente relazione tra le materie, gli spazi e i tempi, quindi anche con l’antimateria, con i buchi neri, con l’angoscia, la paura. Questa voce iniziale riflette sulla sua morte, in qualche modo definita dalle parole del padre, poi lo sguardo (violento dello spettatore e della camera) si sposta su Isacco.
Ben lungi dall’essere l’Isacco biblico, questo ragazzo ci svela il tema della narrazione: della capacità del Logos di aver nascosto l’orrore attraverso l’accettabile. Il corpo del figlio si consegna alle parole del Padre, così come accade in Aulide ad Ifigenia, sua sorella di sorte. Figli sacrificati per amore verso il padre, per la trappola che la sua parola sia l’unica vera. Indifferenti alla sostituzione antropologica del corpo del figlio innocente con quello del cervo o dell’agnello.
A guardare il destino crudele di Ifigenia, una giovane donna nel Massachusets del 1870 (potrebbe essere la poetessa Emily Dickinson), intuendo la falsità delle parole del padre si rifugia in quelle di un Maestro, sperando che possa farla uscire dall’enigma che l’assilla: è più reale la sua fantasia o la realtà effettiva? Chiaramente il maestro non risponde, ma accresce la consapevolezza che niente di ciò che sappiamo è di per sé vero, è caso mai, probabile che sia vero. Il linguaggio filosofico a artistico, alla pari di quello della Legge del Padre, si muove ambiguo nel mondo, la conoscenza porta sempre delle conseguenze. La prima, la più evidente, la sensazione di solitudine.
L’arte si sostituisce al rito, ma come tutti i riti resta di natura sacrificale, è a questo punto che un personaggio che ho voluto identificare col Cristo, arriva a sbugiardare l’arte, a inchiodarla alla sua stessa violenza. Ogni tentativo dell’arte di guardare alle sofferenze non fa altro che rendere il sofferente guardato un’immagine di sofferenza. Da Hiroshima a Chernobyl, ogni bambino immortalato su una foto diventa il riflesso del Cristo immortalato alla Croce. Un’immagine eterna di dolore. È lo stesso Cristo a gridare al Padre il fallimento di questo metodo, non c’è passione o rappresentazione del dolore che possa “soddisfare” la sete di conoscenza. Ogni tentativo di sfamare l’uomo è un tentativo fallimentare. Ogni vittima sacrificata, ogni assassinio fondatore di nuove civiltà e quindi nuovi linguaggi che continuano a nutrirsi di quel corpo sbranato, sono destinati al fallimento. Questo non toglie, anzi rafforza, la sensazione che l’uomo non possa fare altrimenti: desidera sapere, desidera la parola, ne ha bisogno, e dunque si predispone ad ogni genere di sacrificio per essa. Come se non esistesse alternativa. Mentre l’alternativa deve per forza esistere, è probabile che esista. Questa probabilità si mostra nel mondo di tanto in tanto, si mostra sicuramente nelle tracce di una nonna che, fuori da ogni linguaggio paternalistico, si è occupata dei suoi nipoti non già per amore, ma per un’innata spinta alla cura dell’altro, come fa ogni animale con il proprio cucciolo. Nel mondo questa pratica si è identificata con l’amore, ma è solo una delle tante identificazioni o simulazioni di quella “cosa”.
Il testo continua così in un continuo gioco di riflessioni e specchiamenti, da Telemaco, il figlio giusto per il padre sbagliato, fino ad Alfredo Rampi, innocente vittima sacrificale del linguaggio televisivo, o nelle ossessioni di un giovane Artaud che si perde nel labirinto dei doppi, fino a smarrirsi, nel disperato tentativo di far sì che almeno una parola giunga sulle rive del mare, come uno spermatozoo giunge all’ovulo. A chiudere questa improbabile storia degli innocenti di nuovo un viaggio dentro l’arte: una grottesca Infanta Margherita, chiusa per l’eternità nell’immagine del dipinto del Velázquez, chiede allo sguardo vampiresco dello spettatore di smettere di guardare, di azzerare l’attività violenta dello sguardo, in attesa di una mano porta, di una fuga, poco probabile, ma possibile in un universo diverso.
– Carmelo Rifici
Laureato in Lettere, diplomato alla Scuola dello Stabile di Torino, è stato regista collaboratore di Luca Ronconi in Progetto Domani, evento teatrale dei Giochi Olimpici Invernali di Torino 2006. Affianca Ronconi nelle regie di Fahrenheit 451, Ulisse doppio ritorno, Turandot, Il mercante di Venezia. Come regista firma decine di lavori tra cui Il giro di vite, La tardi ravveduta e La Signorina Julie per il Litta di Milano (2003-06), Lunga giornata verso la notte per il Teatro Filodrammatici di Milano (2006). Napoli Teatro Festival gli commissiona la regia di Chie-Chan e io, dal romanzo di Banana Yoshimoto (2008). Per il Piccolo Teatro di Milano ha firmato le regie de I pretendenti di Jean-Luc Lagarce, Il gatto con gli stivali di Ludwig Tieck (2009) e Nathan il saggio di Ephraim Lessing (2011). Nel 2010 ha firmato Dettagli di Lars Norén al Piccolo e Fedra di Euripide a Siracusa. Ha diretto Buio di Sonia Antinori per Teatro Due Parma, Medea di Luigi Cherubini per il Ponchielli di Cremona, I puritani di Vincenzo Bellini per il Circuito Lirico Lombardo, Giulio Cesare di William Shakespeare e Visita al padre di Roland Schimmelpfennig per il Piccolo di Milano. Dal 2014 è direttore artistico di LuganoInScena dove dirige Gabbiano di Anton Cechov, Ifigenia, liberata, Purgatorio di Ariel Dorfman, l’opera Il Barbiere di Siviglia, Avevo un bel pallone rosso, I Cenci su musica e libretto di Giorgio Battistelli che nel 2020 è nel cartellone di Biennale Musica di Venezia e del Festival Aperto di Reggio Emilia, Macbeth, le cose nascoste. Nel 2019 firma la regia di Gianni Schicchi di Puccini e di L’heure espagnole di Ravel al Teatro Grande di Brescia. Nel 2020 diventa direttore artistico del centro culturale LAC Lugano Arte e Cultura della città di Lugano. Dal 2015 dirige la Scuola di Teatro Luca Ronconi del Piccolo di Milano. Nel 2005 vince il Premio della Critica come regista emergente, nel 2009 il Premio Eti Olimpici del Teatro come regista dell’anno, il Premio della Critica, il Golden Graal ed è nelle nomination per i Premi Ubu come regista dell’anno. Nel 2015 vince il Premio Enriquez per la stagione teatrale di LuganoInScena, nel 2017 lo vince nuovamente per la regia di Ifigenia, liberata. Nel 2019 vince il premio I nr. Uno conferitogli dalla Camera di Commercio Italiana per la Svizzera (CCIS) per il suo lavoro al LAC. Insieme a Paola Tripoli è ideatore di Lingua Madre – Capsule per il futuro.
Catherine Bertoni
Nata a Orte da madre belga e padre genovese, classe 1994. Comincia la formazione a Roma diplomandosi presso la Fonderia delle arti diretta da Giampiero Ingrassia. Frequenta corsi di teatro presso La Scaletta con Andrea Pangallo, Fabiana Iacozzilli e Francesco Zecca. Attualmente è studentessa della Scuola Luca Ronconi del Piccolo Teatro di Milano diretta da Carmelo Rifici dove lavora con Mauro Avogadro, Massimo Popolizio, Fabio Condemi, Antonio Latella. È Maša nelle Tre Sorelle diretta da Carmelo Rifici. Presta la voce per l’audiolettura Une passion dans le désert di H. de Balzac per il Piccolo Teatro di Milano.
Giulia Di Renzi
Nata a Roma nel 1997 da padre romano e madre australiana, consegue il diploma in studi classici a Roma. Frequenta diversi laboratori teatrali e nel 2017 viene ammessa alla Scuola Luca Ronconi del Piccolo Teatro di Milano diretta da Carmelo Rifici, dove approfondisce gli studi con grandi maestri del teatro, tra i quali Mauro Avogadro, Carmelo Rifici, Antonio Latella, Fausto Paravidino e Tindaro Granata. Approfondisce gli studi del movimento e della performance con Alessio Maria Romano, Marta Ciappina, Michele Abbondanza, Maria Consagra e Alessandro Sciarroni.
Sebastian Luque Herrera
Nato a Milano nel 1997 da madre italiana e padre cileno, studia presso il liceo di Scienze umane F. Besta. Lavora come attore fino al 2017 presso il teatro Officina con Massimo De Vita. Subito dopo gli studi superiori entra nella Scuola Luca Ronconi del Piccolo Teatro di Milano dove conosce Carmelo Rifici, Alessio Maria Romano, Antonio Latella, Massimo Popolizio, Fausto Paravidino.
Alberto Marcello
Classe 1996, inizia il suo percorso artistico con la regista Lea Gramsdorff, lavorando frequentemente presso il Teatro Stabile di ricerca e innovazione Akròama. Nel 2017 inizia gli studi presso la Scuola Luca Ronconi del Piccolo Teatro di Milano dove conosce Carmelo Rifici, Alessio Maria Romano, Antonio Latella, Massimo Popolizio, Mario Perrotta, Paolo Rossi.
Francesco Maruccia
Nato nel 1994 in Salento, cresce in provincia di Roma. Si interessa al teatro e una volta terminate le scuole superiori frequenta i primi corsi di teatro tra Roma e Ostia. Le sue prime esperienze lavorative avvengono all'interno dei teatri off di Roma e provincia (Teatro lo Spazio, Teatro dell'Orologio, Teatro del Lido). Nel 2017 è ammesso alla Scuola Luca Ronconi del Piccolo Teatro di Milano diretta da Carmelo Rifici dal quale viene diretto in Tre Sorelle.
Alberto Pirazzini
Romagnolo classe 1997, appassionato di illusionismo, diplomato in Teoria e Solfeggio, dopo aver frequentato la Scuola di Teatro A. Galante Garrone, studia alla Scuola Luca Ronconi del Piccolo Teatro di Milano diretta da Carmelo Rifici. Nel suo percorso formativo incontra anche Chiara Bersani, Fausto Paravidino, Paolo Rossi, Serena Sinigaglia, Mario Perrotta, André Casaca, Massimo Popolizio, Marta Ciappina, Lisa Ferlazzo Natoli, Antonio Latella, Alessio Maria Romano. Prende parte a Happiness di Alessandro Sciarroni, Specie di Spazi di Fabio Condemi, Tre Sorelle di Carmelo Rifici, Cavalleria Rusticana di Emma Dante e Pierino e il Lupo a cura di Vittorio Sgarbi.
Roberta Ricciardi
Classe 1997, inizia il suo percorso artistico nel 2017 presso la scuola di recitazione Teatro a Vista di Roma, diretta da Francesca Rizzi e Riccardo Bocci, partecipando a laboratori condotti da Patrizia Hartman, Chiara Cimmino e Valerio Vittorio Garaffa, Federica Bern. Sei mesi dopo inizia gli studi presso la Scuola Luca Ronconi del Piccolo Teatro di Milano; tra gli insegnanti Carmelo Rifici, Alessio Maria Romano, Antonio Latella, Massimo Popolizio, Mario Perrotta, Paolo Rossi, Fausto Paravidino, Andrea Chiodi, Tindaro Granata, Chiara Bersani.
Aurora Spreafico
Nata a Lecco nel 1997, vive a Milano dove frequenta la Scuola Luca Ronconi del Piccolo Teatro di Milano diretta da Carmelo Rifici. Approfondisce gli studi con grandi maestri del teatro, tra i quali Massimo Popolizio, Antonio Latella, Declan Donnelan, Paolo Rossi, Serena Sinigaglia, Fausto Paravidino. Si forma nella danza con i coreografi Alessio Maria Romano, Marta Ciappina, Cristina Rizzo, Michele Abbondanza, Simona Bertozzi, Maria Consagra. Ha da poco pubblicato Cavallucci, la sua prima raccolta di poesie.
Emilia Tiburzi
Nata a Roma nel 1996, dopo aver conseguito il diploma presso il Liceo Classico T. Tasso, prende parte a diversi laboratori teatrali tenuti da Enrico Zaccheo. Nel 2017 inizia gli studi alla Scuola Luca Ronconi del Piccolo Teatro di Milano diretta da Carmelo Rifici, in cui ha la possibilità di approfondire gli studi con grandi maestri, tra i quali Mauro Avogadro, Giovanni Crippa, Carmelo Rifici, Antonio Latella, Fausto Paravidino, Paolo Rossi, Tindaro Granata. Approfondisce lo studio del movimento e delle arti performative con, fra gli altri, Alessio Maria Romano, Maria Consagra, Michele Abbondanza e Marta Ciappina. Prende parte all’ultima produzione de La tragedia del vendicatore diretta da Declan Donnelan.
Giacomo Toccaceli
Nato a Milano nel 1997, si avvicina al teatro nel 2009, partecipando in qualità di coprotagonista alla produzione del Teatro del Buratto Deserto Nero, diretta da Renato Sarti. Successivamente frequenta la scuola di teatro Quellidigrock fino al conseguimento della maturità scientifica, per poi essere ammesso nel 2017 alla Scuola Luca Ronconi del Piccolo Teatro di Milano diretta da Carmelo Rifici. In questi anni ha l’opportunità di approfondire i propri studi teatrali grazie a maestri come Mauro Avogadro, Giovanni Crippa, Carmelo Rifici, Massimo Popolizio, Antonio Latella, Fausto Paravidino e Tindaro Granata e di avvicinarsi al mondo della danza e della performing art attraverso Alessio Maria Romano, Maria Consagra, Marta Ciappina, Michele Abbondanza, Chiara Bersani e Alessandro Sciarroni.
Guido Buganza
Scenografo, pittore e incisore. Diplomato in scenografia all’Accademia di Brera ha intrapreso una carriera teatrale internazionale in parallelo con la vocazione pittorico/incisoria. Ha all’attivo circa un’ottantina di produzioni teatrali che lo vedono firmare prosa, opera, balletto e cinema, ma anche mostre e installazioni. Numerose volte è stato finalista al premio UBU. Fondamentale la quasi ventennale collaborazione con Carmelo Rifici, con il quale al LAC firma le scene di Il Barbiere di Siviglia di Rossini. Collabora inoltre con Monica Conti, Piero Maccarinelli, Andrée Ruth Shammah, Claudio Beccari, Peter Greenaway, Andrea Chiodi, Jacopo Gassmann, Massimo Navone. Ha curato l’allestimento di Arti liberali in collaborazione con RSI.
ideato, scritto e diretto da
Carmelo Rifici
traduzione in inglese
Catherine Bertoni
Alberto Marcello
Giulia Di Renzi
coordinamento e montaggio video
Olmo Cerri, REC
con gli allievi della Scuola di Teatro Luca Ronconi (in ordine alfabetico)
Catherine Bertoni
Giulia Di Renzi
Sebastian Luque Herrera
Alberto Marcello
Francesco Maruccia
Alberto Pirazzini
Roberta Ricciardi
Aurora Spreafico
Emilia Tiburzi
Giacomo Toccaceli
Rachele Gatti
e con la partecipazione di (in ordine alfabetico)
Beatrice Fico
Francesco Fico
Alessia Lenzo Massei
Elena Lenzo Massei
Blue Sofia
Gioia Sofia
scene
Guido Buganza
sound designer
Brian Burgan, LAC
disegno luci
Pierfranco Sofia, LAC
assistente alla regia
Ugo Fiore
direttore tecnico
Pierfranco Sofia, LAC
direttore di scena
Igor Samperi, LAC
macchinisti
Serafino Chiommino, LAC
Andrea Borzatta, LAC
Luigi Molteni, LAC
tecnici luci e video
Noray Yildiz, LAC
Giovanni Voegeli, LAC
Mattia Gandini, LAC
fonici
Brian Burgan, LAC
Lorenzo Sedili, LAC
apprendisti
Giulio Bellosi, LAC
Alberto Granata, LAC
sarta
Andrea Portioli
trucco
Bruna Calvaresi
costumi realizzati presso
Laboratorio di Sartoria del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa,
un ringraziamento speciale a Roberta Mangano
scene realizzate da
Matteo Bagutti, LAC
Roberta Pagliari
delegati di produzione
Nicola Fiori, LAC
Vanessa Di Levrano, LAC
delegato di produzione video
Adriano Schrade, REC
immagini e correzione colore
Giacomo Jaeggli, REC
focus puller
Mariangela Marletta, REC
realizzazione video
Associazione REC
materiale tecnico
Cine5k
Associazione REC
si ringrazia il Museo cantonale di storia naturale per la gentile concessione di sette esemplari di animali vertebrati impagliati della propria collezione
produzione
LAC Lugano Arte e Cultura
Per il salotto cinematografico un rigraziamento per la collaborazione a Sara Conio Prontera di Modernariato al Mercato.