Filippo Dini, attore e regista tra i più interessanti del panorama teatrale italiano, affronta uno dei testi più lucidi e impietosi della drammaturgia americana, un affresco drammatico in cui Arthur Miller distilla l’ottusità e la feroce demenza che invadono l’animo umano in determinate circostanze.
Miller scrive Il crogiuolo nel 1953, in pieno Maccartismo, e sulla spinta di quello stato di aberrazione sociale e di isteria collettiva sceglie di rappresentare la complessità, l’ironia e la comica demenza della sua contemporaneità e i suoi tragici esiti.
La pièce rievoca quanto accaduto durante la caccia alle streghe di Salem nel XVII secolo e trasforma quel momento così controverso della storia americana, durante il quale furono incrinati pericolosamente i pilastri dell’etica collettiva, in uno specchio impietoso delle ombre più nere e contorte della società contemporanea.
Il crogiuolo è una favola meravigliosa, nera e al tempo stesso grottesca, carica di mistero e colma di paradossi; descrive la giovane società americana del 1692, terrorizzata dai pericoli di una terra sconosciuta e compromessa dalle proprie stesse rigidissime regole. Ma è anche la storia misteriosa e affascinante dell’adolescenza, di quell’età in cui la passione germoglia ed esplode nella mente e nel corpo dell’essere umano, generando amore e odio con lo stesso fuoco e la stessa incomprensibile spinta.
Dopo più di due anni di pandemia e l’evolversi delle atrocità in Ucraina, questo testo suona adesso una musica nuova e terribile: noi stessi e la nostra epoca ribolliamo nel crogiuolo dell’orrore e della meschinità. Ogni scena, ogni battuta acquista oggi un significato contingente e bruciante, come se la Storia ci ponesse di fronte ad un baratro: non poter tornare indietro, non poter andare avanti. La delazione, appunto, i bassi giochi degli uomini di potere, e la nostra stessa viltà, ci hanno condotto qui: come agire? Dove trovare riparo? Come proteggere i nostri figli da ciò che abbiamo preparato loro? Sembra scritto per noi, che viviamo nell’oggi, con tutta la rabbia, l’incredulità e il gusto per il ridicolo di un intellettuale ferito nel profondo dall’ambizione e dall’arroganza di altri semplici esseri umani.
– Dalle note di regia di Filippo Dini