La pluripremiata regista, performer e autrice argentina Marina Otero, definita da alcuni come la “ballerina punk”, porta in scena un lavoro – scritto a quattro mani con l’amico Martin Flores Cardenas - che forma una sorta di dittico con il suo precedente Fuck Me.
“La performance si intitola Love Me. Sì, fottimi e poi amami. Prima fottimi, poi parliamo d’amore – afferma Otero. Questo corpo è stato creato per distruggere. A volte mi sento come se fossi posseduta da uno spirito malvagio. Come se fossi l’emissario di un messaggio antico, primitivo e violento. Ho intenzione di fuggire, scappare da lui”.
Questo lavoro è un addio, una “cerimonia intima e potente” – come l’ha definita Alejandro Cruz de La Nación di Buenos Aires –, espansiva e catartica che punta radicalmente su altre forme di rappresentazione scenica, in una sorta di dittico con il suo precedente Fuck Me.
Marina Otero, che proviene dal circuito indipendente, non ha remore ad essere franca quando afferma: “Il mercato dell’arte è una città murata a cui pochi hanno accesso. Questo spettacolo potrebbe essere il mio grande cavallo di Troia con dentro sei guerrieri pronti a combattere tra le mura del palazzo di Elsinore”.
Love Me parla della violenza o della sua stessa violenza come donna. Qualcosa che, sicuramente, ha a che fare con il maschilismo perché “la nostra frustrazione genera un accumulo, e questa è violenza. L’autodistruzione genera distruzione anche negli altri”. E riguardo a Love Me come addio aggiunge: “Con questo lavoro sparo i proiettili in aria e fuggo prima che inizino a piovere sul mio stesso corpo”.