La coreografa svizzera Yasmine Hugonnet esplora, con un pizzico di malizia, la misteriosa arte del ventriloquio, traducendo la propria ricerca in un impressionante cabaret danzante. In scena, oltre alla voce e al movimento dei quattro danzatori, le tante voci femminili che, per secoli e secoli, non hanno potuto raccontare la propria storia.
L’arte del ventriloquio affascina tutti, da sempre. In passato si pensava che le persone in grado di padroneggiare questa misteriosa tecnica fossero possedute, streghe e stregoni. Nel suo ultimo lavoro, Yasmine Hugonnet esplora la storia di questa arte e traduce il frutto delle sue ampie ricerche in uno straordinario cabaret danzante in cui si intrecciano la voce, il canto e il movimento dei quattro interpreti in scena, tra cui Ruth Childs – danzatrice e performer anglo-americana, svizzera d’adozione – e la stessa Hugonnet. Insieme formano un coro, una sovrapposizione di molteplici lingue che, in modo ludico, dà vita alla sperimentazione: che cosa succede quando si fa muovere una persona e questa comincia a parlare con una voce che non è la sua? E che cosa accade quando una mano si mette a conversare o quando un gesto risuona, come un’eco, da un corpo a un altro?
Proprio come nelle matrioske russe, la voce si nasconde nella parte più profonda del corpo e racconta una storia (estranea), la storia di un altro corpo e, in particolare, quella del corpo femminile. Partendo da questo tema centrale, la coreografa svizzera indaga non soltanto un’affascinante forma artistica, ma regala anche una voce a chi, per molti secoli, non ha potuto parlare e raccontare la propria storia.
Uno spettacolo in cui senso dell’umorismo, stranezza e ilarità si mescolano in modo giocoso.