Il regista visionario Romeo Castellucci, Leone d’Oro alla carriera alla Biennale di Venezia, dirige la magnetica Isabelle Huppert, icona del cinema e del teatro contemporaneo, in un monologo liberamente ispirato a Bérénice di Jean Racine: una personalissima rilettura della più grande tragedia della letteratura francese, monumento alla solitudine e all’abbandono.
“Ciò che rende contemporaneo Racine – afferma Castellucci – è precisamente la sua inattualità. Il metro alessandrino dei suoi versi è la forma congelata di un quadro umano paralizzato dallo stallo tragico e dalla disfunzione del linguaggio. L’amore è il Teatro della Crudeltà. Le rinunce qui hanno più peso delle azioni, del sangue o degli accoppiamenti. L’educazione e la castità sono in nuovi strumenti erotici che vincolano i corpi; la violenza è endocrina, il freno è più potente dell’acceleratore. L’energia, che non deflagra, è trattenuta in un corpo ormai spossessato di parole. Teatro paralitico, Bérénice è probabilmente la “tragedia” più immobile, statica e snervante che sia mai stata concepita. Eppure si piange. Eppure Bérénice – si potrebbe dire – sono io.
In scena, come stella fissa, Isabelle Huppert [Premio Molière alla carriera, ndr] rappresenta Bérénice, la peculiare e ontologica solitudine del personaggio teatrale e della figura umana. Accanto a lei sono presenti soltanto altri due attori, nelle vesti di Titus e Antiochus, e diversi Senatori romani. Tutte le loro parole sono incomprensibili e impastate dalla stessa voce di Bérénice. Quasi tutti i suoni dello spettacolo – uditi e inauditi – sono generati dalla voce di Huppert ed elaborati dall’artista Scott Gibbons. Isabelle Huppert è la sineddoche dell’arte del teatro d’occidente, è l’attrice, ma anche l’attore, per definizione; è il Teatro stesso che si manifesta, ancor prima del significato che porta.”