Dopo l’originale Cirano deve morire, il giovane autore e regista Leonardo Manzan – due volte vincitore alla Biennale Teatro di Venezia – torna al LAC con il suo irriverente Faust, lavoro in cui il capolavoro di Goethe si fa strumento per tracciare un dissacrante ritratto di ipocrisie, mode culturali (e “politically correct”) e vizi del teatro contemporaneo.
Portando in scena un Faust-artista, Manzan indaga il tema del ruolo del teatro nella società, della responsabilità di chi crea nei confronti del pubblico e dei limiti dell’espressione del desiderio individuale. Il pubblico – sempre protagonista negli spettacoli del regista romano – viene accompagnato da un affiatato gruppo di sei giovani interpreti attraverso la vicenda di Faust ed è invitato a muoversi insieme a loro sul filo teso tra fantasia e realtà, intrattenimento e impegno, quel filo sottile su cui ogni artista cerca disperatamente il proprio equilibrio.
La sinossi del Faust di Goethe si potrebbe riassumere in una riga: c’era una volta un uomo che fece un patto col diavolo. Eppure, a partire da questo semplice spunto, perfetto per una favola da teatro delle marionette, Goethe ha costruito un’opera monumentale che fa da specchio alla modernità.
Colta e goliardica, tragica e parodica, cosmica e sentimentale, tra dramma e avanspettacolo, la prima opera moderna è in realtà un’opera post-moderna. Non si può tornare indietro e riportare all’ordine il caos che Goethe attraversa. Bisogna assecondarne la varietà, nel tentativo di recuperare la leggerezza di un racconto popolare che inizia appunto così: c’era una volta un uomo che fece un patto col diavolo.
“Il Faust di Goethe viene in parte smontato e messo in discussione, in parte usato per scrivere una satira sul e contro il teatro contemporaneo (secondo una modalità anche provocatoria che Manzan ha adottato in precedenti spettacoli) prendendo in giro le ipocrisie, i limiti e le nuove mode “morali”. Tutto con un carosello in 24 scene, una sarabanda (anzi un sabba, per stare in tema faustiano) di parodie, gag, satire meta-referenziali, sia verso l’opera dello scrittore tedesco, sia verso il sistema anche produttivo del teatro.”
– Mario De Santis, HuffingtonPost.it