La regista e autrice romana Fabiana Iacozzilli, Premio della Critica ANCT 2019, conclude il suo trittico sull’umana esistenza con Il grande vuoto, lavoro che indaga la vecchiaia in rapporto con il vuoto e il senso della memoria.
Lo spettacolo si concentra sull’ultimo pezzo di strada che una famiglia percorre prima di svanire nel vuoto, affidando alla tragedia forse più cupa del teatro shakespeariano, Re Lear, il compito di trasformare il dolore attraverso il gioco teatrale. Questo dissolversi è amplificato dal progressivo annientamento delle funzioni cerebrali della madre, una ex attrice colpita da una malattia neurodegenerativa, alla quale rimane progressivamente solo il ricordo del suo cavallo di battaglia, un monologo tratto da Re Lear. Un prosciugarsi a cui fa eco lo svuotarsi di esseri umani dalla casa di famiglia, che al contrario si popola di oggetti, di ricordi che aumentano, pesano e riempiono tutte le stanze.
Il grande vuoto tenta di raccontare la storia d’amore tra una madre, i suoi figli e un padre che muore, unendo la narrazione teatrale con il video. Grazie alle fotocamere e i loro filmati ad alta risoluzione con visione notturna fino a trenta piedi, scopriamo che un figlio può continuare a vivere la propria vita ed entrare senza essere visto in quella del proprio genitore: guardare la madre giocare al solitario, fissare la televisione spenta, parlare con persone che non esistono, non farsi il bidet, piangere, stare seduta e ferma sul bordo del letto, passare la notte a tirare fuori dai cassetti fotografie, pezzi di carta, mutande sporche, per poi rimetterli dentro.