Adattamento teatrale di un testo letterario, Minotauro di Margherita Saltamacchia e Marzio Picchetti porta in scena la complessità e la forza del racconto di Dürrenmatt all’interno di un labirinto di specchi che offusca il confine tra sogno e veglia, tra realtà e immagine.
Per gli antichi Greci, Minotauro è l’emblema dell’essere mostruoso da eliminare, figlio di un toro bianco sacro a Poseidone e di Pasifae, moglie di Minosse, re di Creta. Teseo, che i Greci dipingono come l’eroe che sconfigge il mostro, nella ballata di Dürrenmatt è un antagonista che con l’inganno lo uccide. Il Minotauro, rinchiuso in un labirinto di specchi, riflesso all’infinito, cerca la verità nel riflesso delle sue stesse immagini, sentendosi il dio di tutti i minotauri che lo seguono in ogni movimento e con loro continua a danzare. Attraverso le ragazze e i ragazzi che entrano nel labirinto, costretti secondo il mito greco ad essere sacrificio per l’uomo-toro, il Minotauro scopre l’amore, l’odio, la paura, e quando raggiunge una consapevolezza piena di sé e accoglie Teseo come un amico uguale a lui, scopre la gioia di un “tu” senza accorgersi dell’inganno. Muore danzando. La ballata diventa così una visione postmoderna che mette l’accento sulla tragicità dell’esperienza esistenziale umana, dell’individuo di fronte alla natura e dell’individuo di fronte al diverso.
“La scrittura di Dürrenmatt – afferma Margherita Saltamacchia –, più che per un pensiero logico, procede per immagini e da queste è nato lo spettacolo. Fin dal suo risveglio, il Minotauro danza di gioia. È una creatura innocente quella che ci viene presentata come in un gioco di specchi tra narratrici e personaggi che raccontano il lento e progressivo cammino di consapevolezza del protagonista, costretto tra le pareti del labirinto che è simbolo di un percorso inevitabile della vita. Minotauro è creatura unica al mondo e duale, come tutto il genere umano del resto, ma in questa creatura la dualità è più evidente perché è anche fisica. Abbiamo indagato la dualità nei sentimenti, nelle intenzioni, nei punti di vista diversi della stessa storia e anche nella maschera, nel corpo e nella sua fine. [...] La morte può essere vista come un passaggio o come una fine inevitabile a cui siamo tutti destinati. In Dürrenmatt, forse, la morte è il destino inevitabile voluto dagli dèi per l’inganno di Teseo, ma anche l’unico modo per far uscire il corpo di Minotauro dal palazzo di Cnosso attraverso gli uccelli della morte che a brandelli lo portano via. Minotauro non è consapevole della sua morte e nemmeno dell’inganno, a cui impotenti possiamo solo assistere. Che sia davvero per lui una liberazione e un passaggio verso il Sole? Forse un ricongiungimento spirituale agli dei, da cui, anche se in modo parziale, Minotauro discende?”