Vincitore del Grand Prix de littérature dramatique, Au bord dell’acclamata drammaturga francese Claudine Galea viene qui messo in scena da Valentino Villa e interpretato dalla pluripremiata attrice italiana Monica Piseddu.
Al centro dello spettacolo vi è una foto: una donna porta un’uniforme e tiene stretto un uomo al guinzaglio. Scattata nella prigione di Abu Ghraib in Iraq ed apparsa sul Washington Post il 21 maggio del 2004, l’immagine - terribile documento - porta con sé l’impronunciabilità, l’inafferrabilità, l’orrore dell’atto di violenza. La sua irrappresentabilità. Ma è sulla donna che si concentra l’attenzione dell’autrice: a partire dall’inconfessabile attrazione per questa figura femminile, per la sua oscenità, si incatenano nella testa e nel corpo di chi parla diverse figure femminili. Un libero quanto pericoloso scivolare dalla figura della soldatessa a quella dell’amante - da cui Galea stessa è stata abbandonata - fino alla madre, figura torturatrice. Al di là del suo statuto, la foto diventa un palinsesto dell’inesprimibile, un oggetto drammaturgico evirato dal suo senso strettamente documentale e politico. Un atto di sovversione, forse, che nutre la primaria e sconvolgente esperienza che il testo propone.
Au bord si interroga sulla natura dell’immagine e sul rapporto d’interdipendenza fra queste, la psiche e il pensiero.