Spazio e Danza, sotto uno stesso cielo chiamato Architettura
di Riccardo Blumer
In ogni epoca l’essere umano si è sempre fatto accompagnare da grandi domande sull’esistenza, sulla vita. Ci sono poi anche domande che si potrebbero definire più intime o forse anche più semplici.
Il porsi delle domande è l’unico modo per conoscere, per sviluppare una propria evoluzione.
Potrebbe essere quindi coerente partire da una domanda, ricercando se non delle risposte, delle annotazioni lungo il breve viaggio che il pensiero ci porta a fare nella stesura di un testo:
Perché Danza e Architettura sono Arti Applicate che si potrebbero definire complementari e in relazione tra loro?
In prima istanza si può notare come all’interno della domanda si è volutamente specificato come le due Arti siano definite nello specifico “applicate”.
Infatti Movimenti di Arte Applicata sono apparsi molto chiari a tutti e ben delineati all’interno della Scuola del Bauhaus, dove gli studenti, attraverso la guida di grandi Artisti, Progettisti, Architetti si misuravano attraverso molte discipline tra le quali anche la Danza.
Le domande non sviluppano sempre singole risposte. In molti casi c’è la necessità di articolare diverse direzioni del dialogo, ma tutte con l’obiettivo di trovare un approdo.
Una prima e rapida risposta alla domanda iniziale potrebbe derivare dal fatto che il corpo vive in uno spazio. Noi viviamo gli spazi, pubblici o privati, all’aperto o chiusi. I corpi all’interno di questi spazi si muovono generando azioni, come fa un danzatore, come allo stesso modo può fare una folla in una chiesa, come anche può fare un operaio in una fabbrica.
I nostri corpi, spesso anche involontariamente generano quotidianamente dei gesti ripetuti, dei codici di movimento che diventano riti e quindi forse delle danze della quotidianità.
Se si riflettesse su quanto appena scritto, potrebbero venire in mente le prime processioni dell’Antica Grecia: le Panatenee, circa nel 500 a.C.
Una grande quantità di persone, in uno schema ordinato e rigoroso, si recavano da Atene verso il Partenone per rendere omaggio ad Atena. Un’intera comunità che si muoveva come guidata dalle indicazioni di un Coreografo, con il maestoso Tempio a comporre una quinta nel paesaggio.
Un’ altro esempio, utile a restituire la misura della relazione tra Danza e spazio, potrebbe essere rappresentato dai gesti rituali che si compiono entrando in un luogo di culto, come in una Chiesa.
Il rito prevede l’ingresso in rigoroso silenzio, si pone la mano destra, solo la destra, all’interno dell’acquasantiera, toccandosi successivamente con un ritmo codificato nel tempo, la testa, il centro del petto, la spalla destra, subito dopo la spalla sinistra. La mano quasi si chiude portandola vicino la bocca, contestualmente si accenna un inginocchiarsi in segno di reverenza al cospetto del grande Crocifisso o di altra immagine sacra.
Quanto appena descritto, potrebbe essere una Danza del quotidiano che si ripete da secoli in uno spazio specifico. Al di fuori dell’Architettura sacra questi gesti perderebbero di significato e quindi di relazione diretta con il contesto.
Nel momento in cui i corpi non dovessero avere più relazioni con gli spazi, con le Architetture, queste diventerebbero abbandonate rinunciando così alla vita.
La Danza e l’Architettura sono unite, da sempre, da un forte legame. Entrambe sono espressione di un utilizzo e relazione del corpo. Basti pensare che prima dell’invenzione delle unità di misura, il corpo era l’unico strumento di misurazione.
Nel Rinascimento, si potevano utilizzare le Braccia piacentine per misurare le distanze, le quali corrispondevano, specificatamente, all’avambraccio di un corpo, circa 44 cm.
Tutto il costruito che ci circonda è basato sulle proporzioni del corpo e dei corpi.
Un danzatore o più danzatori spesso basano i loro movimenti in relazione allo spazio nel quale si trovano.
L’Architetto produce lo spazio, il danzatore lo utilizza, ma entrambi lo misurano attraverso il corpo.
Le due Arti, anche se solo in apparenza lontane, producono dei momenti di didattica esperienziale che i corpi avvertono, entrambi muovendosi, parlando, utilizzando lo spazio.
Si potrebbe affermare che: il movimento e le dimensioni dei corpi producono le regole degli spazi architettonici, ma solo quando queste due unità diventano riti e senso di comunità.
La danza, se fosse tra le origini dell’Architettura, come dice Simone Weil, allora ne sarei felice, perché è questo rito fisico del vivere all’interno del quale vorrei riconoscermi.