Appunti musicali di Diego Fasolis
“Cara Signora mia rispettabile e moltissimo amata.
Godo nell’annunziarle che la nuova opera del suo innamorato e celebre marito ha avuto un incontro quale non sarebbe stato possibile sperare migliore. Successo, trionfo, delirio, pareva che il pubblico fosse impazzito, tutti dicono che non ricordano di aver assistito mai ad un trionfo siffatto. Io ero così felice che mi veniva da piangere, pensa! Ed il mio cuore veniva verso di te e pensavo alla tua gioia se tu fossi stata presente, ma sai che io non voglio esporti ad emozioni così forti, perché s’ha un bel dire, ma sono emozioni che par di morire, quando ancora non si è sicuri dell’esito. [...]”
Alla conferenza stampa di presentazione della nuova produzione operistica 2023 a Lugano ho letto il testo della lettera che Donizetti forse inviò nel dicembre 1830, dopo la prima di Anna Bolena al Teatro Carcano di Milano, alla moglie. Mi sento molto vicino a Gaetano, sia per la sua maniera profonda e raffinata di comporre Musica, sia per le vicende familiari e i tremendi lutti che lo colpirono.
In verità della lettera non si è trovato l’originale e molti anni dopo, quando il compositore riferisce di Milano, non cita ricordi piacevoli. Ma la vita lo aveva provato duramente.
“Senza Padre, senza madre, senza moglie, senza figli… per chi lavoro dunque”.
La forza di Donizetti, e di tanti artisti che nel dolore trovano nella musica conforto e ragione, sta nell’ispirarsi a grandi ideali di crescita morale, spirituale e di generosità per sé e per l’umanità.
Anna Bolena è il primo grande capolavoro serio su libretto di Felice Romani e con sul palco i maggiori interpreti dell’epoca (Giuditta Pasta e Giovanni Battista Rubini). Proprio la presenza di due divi, a cui vengono affidate arie con possibili ripetizioni atte a valorizzare gli aspetti improvvisativi di virtuose variazioni, rende l’opera lunga e impegnativa per tutti i ruoli principali, per l’orchestra e per il pubblico.
Le prossime opere dedicate a Regine avranno una durata più breve.
Con una fruizione “moderna” in cui il pubblico resta seduto in silenzio (a differenza delle usanze ottocentesche in cui si entrava e usciva, si faceva vita sociale o ci si appartava nei palchi privati aprendo o chiudendo le tende a seconda del gradimento) qualche taglio si impone, ma ho deciso di essere molto parco e il più rispettoso possibile in questa operazione pur sapendo che in importanti esecuzioni storiche, anche al Teatro alla Scala, si era inciso moltissimo con le forbici.
Sulla questione dei registri e dei trasporti ho scelto di attenermi alle indicazioni della partitura.
L’Opera italiana è piena di episodi legati alle rivalità tra soprani. A un certo punto si è scelto di affidare al Soprano il ruolo principale e al Mezzosoprano il ruolo dell’antagonista (un esempio per tutti, Norma di Bellini). Ma se Giuditta Pasta disponeva di un ampio registro di soprano anche nel grave, Elisa Orlandi e, specialmente, in seguito Giulia Grisi nel ruolo di Giovanna Seymour erano soprani. Ho deciso di affiancare a Carmela Remigio (che per questo ruolo che ha fatto profondamente suo ha ricevuto il premio Abbiati) l’ottima Arianna Vendittelli. Nel ruolo di Enrico VIII ci sarà il debutto di Marco Bussi, che ha di recente magnificamente cantato con il Coro della RSI in Ticino il Requiem donizettiano dedicato a Bellini; uno dei migliori tenori del momento, Ruzil Gatin, affronterà l’impervio ruolo di Riccardo Percy eseguendolo quasi totalmente nelle acutissime tonalità originali. Gli altri ruoli sono impersonati da solisti di notevole fama, come Paola Gardina che incarna uno Smeton di grande forza e Luigi di Donato per un Lord Rochefort di gran lusso (e copertura di Enrico VIII), così come il Sir Hervey di Marcello Nardis.
Con questa produzione l’Associazione I Barocchisti, che si occupa dell’omonima orchestra barocca e del Coro della RSI, vara una nuova compagine strumentale dal nome “I Classicisti”; vi confluiscono musicisti che hanno passione per le esecuzioni su strumenti storici, dispongono dell’esperienza e degli strumenti necessari per affrontare il repertorio del primo Ottocento, sotto la guida del violino di spalla storico Duilio Galfetti.
La grande impresa di Norma con Cecilia Bartoli, le registrazioni e i concerti rossiniani a Salisburgo, Il barbiere di Siviglia a Lugano o l’integrale delle Sinfonie di Beethoven (per la catena televisiva franco-tedesca si è rappresentata la Svizzera con l’esecuzione al LAC della Pastorale) hanno attirato l’attenzione internazionale sul centro di produzione basato alla RSI di Lugano-Besso; ci è stato persino chiesto di ripetere l’esperienza con la Messa di Giacomo Puccini in vista del centenario della morte. Uno sviluppo naturale sulla via delle esecuzioni storicamente informate che altri direttori e complessi “barocchi” hanno seguito (Harnoncourt, Gardiner, Savall, Brüggen, Dantone, Antonini) e che suscitano quell’interesse che migliaia di compagini “moderne” non riescono sempre a stimolare.
Anna Bolena, a partire dall’importante ouverture, è un banco di prova straordinario per noi e per il pubblico. Il Barbiere rossiniano ha riaperto la strada dell’Opera nella Svizzera italiana e Anna Bolena dà avvio alla collaborazione con altri teatri (Modena, Piacenza, Reggio Emilia). Unire le forze è la sola via per poter affrontare in maniera razionale l’impegno di tante persone e i costi che una messa in scena operistica sempre comporta. Atteggiamento che sembra, in maniera inspiegabilmente autolesionistica, mancare in Ticino, ma che si spera possa prendere piede.
Un grazie quindi a Carmelo Rifici, a Michel Gagnon, alla RSI e alla Città di Lugano per mostrare la retta via.